Diocesi di Brindisi – Ostuni

Messaggio del Consiglio Episcopale Permanente per la 42ª Giornata Nazionale per la Vita 2 febbraio 2020 Aprite le porte alla Vita

 

Aprite le porte alla Vita

Desiderio di vita sensata
1. “Che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?” (Mt 19,16). La domanda che il giovane
rivolge a Gesù ce la poniamo tutti, anche se non sempre la lasciamo affiorare con chiarezza: rimane
sommersa dalle preoccupazioni quotidiane. Nell’anelito di quell’uomo traspare il desiderio di
trovare un senso convincente all’esistenza.
Gesù ascolta la domanda, l’accoglie e risponde: “Se vuoi entrare nella vita osserva i
comandamenti” (v. 17). La risposta introduce un cambiamento – da avere a entrare – che comporta
un capovolgimento radicale dello sguardo: la vita non è un oggetto da possedere o un manufatto da
produrre, è piuttosto una promessa di bene, a cui possiamo partecipare, decidendo di aprirle le
porte. Così la vita nel tempo è segno della vita eterna, che dice la destinazione verso cui siamo
incamminati.

Dalla riconoscenza alla cura
2. È solo vivendo in prima persona questa esperienza che la logica della nostra esistenza può
cambiare e spalancare le porte a ogni vita che nasce. Per questo papa Francesco ci dice:
“L’appartenenza originaria alla carne precede e rende possibile ogni ulteriore consapevolezza e
riflessione” 1 . All’inizio c’è lo stupore. Tutto nasce dalla meraviglia e poi pian piano ci si rende
conto che non siamo l’origine di noi stessi. “Possiamo solo diventare consapevoli di essere in vita
una volta che già l’abbiamo ricevuta, prima di ogni nostra intenzione e decisione. Vivere significa
necessariamente essere figli, accolti e curati, anche se talvolta in modo inadeguato” 2 .
È vero. Non tutti fanno l’esperienza di essere accolti da coloro che li hanno generati: numerose sono
le forme di aborto, di abbandono, di maltrattamento e di abuso.
Davanti a queste azioni disumane ogni persona prova un senso di ribellione o di vergogna. Dietro a
questi sentimenti si nasconde l’attesa delusa e tradita, ma può fiorire anche la speranza radicale di
far fruttare i talenti ricevuti (cfr. Mt 25, 16-30). Solo così si può diventare responsabili verso gli altri
e “gettare un ponte tra quella cura che si è ricevuta fin dall’inizio della vita, e che ha consentito ad
essa di dispiegarsi in tutto l’arco del suo svolgersi, e la cura da prestare responsabilmente agli altri” 3
.
Se diventiamo consapevoli e riconoscenti della porta che ci è stata aperta, e di cui la nostra carne,
con le sue relazioni e incontri, è testimonianza, potremo aprire la porta agli altri viventi. Nasce da
qui l’impegno di custodire e proteggere la vita umana dall’inizio fino al suo naturale termine e di
combattere ogni forma di violazione della dignità, anche quando è in gioco la tecnologia o
l’economia.
La cura del corpo, in questo modo, non cade nell’idolatria o nel ripiegamento su noi stessi, ma
diventa la porta che ci apre a uno sguardo rinnovato sul mondo intero: i rapporti con gli altri e il
creato 4 .
1 PAPA FRANCESCO, Humana communitas. Lettera per il XXV anniversario della istituzione della Pontificia
Accademia per la Vita, 6 gennaio 2019, 9.
2 Ibidem.
3 Ibidem.

Ospitare l’imprevedibile
3. Sarà lasciandoci coinvolgere e partecipando con gratitudine a questa esperienza che potremo
andare oltre quella chiusura che si manifesta nella nostra società ad ogni livello. Incrementando la
fiducia, la solidarietà e l’ospitalità reciproca potremo spalancare le porte ad ogni novità e resistere
alla tentazione di arrendersi alle varie forme di eutanasia 5 .
L’ospitalità della vita è una legge fondamentale: siamo stati ospitati per imparare ad ospitare. Ogni
situazione che incontriamo ci confronta con una differenza che va riconosciuta e valorizzata, non
eliminata, anche se può scompaginare i nostri equilibri.
È questa l’unica via attraverso cui, dal seme che muore, possono nascere e maturare i frutti (cf Gv
12,24). È l’unica via perché la uguale dignità di ogni persona possa essere rispettata e promossa,
anche là dove si manifesta più vulnerabile e fragile. Qui infatti emerge con chiarezza che non è
possibile vivere se non riconoscendoci affidati gli uni agli altri. Il frutto del Vangelo è la fraternità.