Comunione e Liberazione è essenzialmente una proposta di educazione alla fede cristiana. Una educazione che non finisce ad una certa età, ma continua sempre, perché sempre si rinnova e sempre si approfondisce. Accade così con il Vangelo, che pur ascoltato mille volte rivela sempre aspetti nuovi. Accade così nell’esperienza dell’amore umano, nella creazione artistica e persino nella vita semplice di ogni giorno. La ricerca del vero, del bello, del giusto e della felicità non finisce mai. E così è il cristianesimo: un’avventura della vita, e non una “preparazione” alla vita. Da dove nasce e perché nasce una esperienza come CL?
Ecco cosa scrive don Giussani a Giovanni Paolo II nel 2004: «Non solo non ho mai inteso “fondare” niente, ma ritengo che il genio del Movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l’urgenza di proclamare la necessità di ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta. E forse proprio questo ha destato possibilità imprevedibili di incontro con personalità del mondo ebraico, musulmano, buddista, protestante e ortodosso, dagli Stati Uniti fino alla Russia, in un impeto di abbraccio e di valorizzazione di tutto ciò che di vero, di bello, di buono e di giusto rimane in chiunque viva un’appartenenza». E così è accaduto e accade tuttora. Don Giussani comincia la sua attività di “educatore al cristianesimo” nel 1954, quando entra come insegnante di religione in un liceo statale, il Berchet di Milano «con il cuore tutto gonfio dal pensiero che Cristo è tutto per la vita dell’uomo». Stupisce gli studenti con la sua proposta rivolta innanzitutto alla ragione e alla libertà, con il suo invito all’incontro con la bellezza – musica, poesia, natura – e con la sua capacità di toccare le profondità del cuore umano, le esigenze fondamentali che lo costituiscono. Giussani sintetizza con queste parole il contenuto e lo scopo del suo tentativo: «Fino dalla prima ora di scuola ho sempre detto: “Non sono qui perché voi riteniate come vostre le idee che vi do io, ma per insegnarvi un metodo vero per giudicare le cose che io vi dirò. E le cose che io vi dirò sono un’esperienza che è l’esito di un lungo passato: duemila anni”. Il rispetto di questo metodo ha caratterizzato fin dall’inizio il nostro impegno educativo, indicandone con chiarezza lo scopo: mostrare la pertinenza della fede alle esigenze della vita. Per la mia formazione in famiglia e in seminario prima, per la mia meditazione dopo, mi ero profondamente persuaso che una fede che non potesse essere reperta e trovata nell’esperienza presente, confermata da essa, utile a rispondere alle sue esigenze, non sarebbe stata una fede in grado di resistere in un mondo dove tutto, tutto, diceva e dice l’opposto. (…) Mostrare la pertinenza della fede alle esigenze della vita e, quindi – questo “quindi” è importante per me -, dimostrare la razionalità della fede, implica un concetto preciso di razionalità. Dire che la fede esalta la razionalità, vuol dire che la fede corrisponde alle esigenze fondamentali e originali del cuore di ogni uomo» (L. Giussani, Il rischio educativo, Rizzoli, Milano 2005, pp. 20-21).